Capogiri e vertigine: valutazione, diagnosi differenziale e gestione
Antonio R. De Caria1- Matilde Monici2
1Unità Operativa di Otorinolaringoiatria, Ospedale “G. da Saliceto” – Piacenza
2Struttura Complessa di Otorinolaringoiatria, Ospedale “C. Poma” - Mantova

I capogiri e le vertigini sono dei sintomi frequenti che, spesso, i pazienti tendono a confondere o a riferire in modo impreciso. Entrambi i termini sono stati tradizionalmente inclusi, sulla base della storia clinica del paziente, in quattro categorie: vertigine, presincope, squilibrio e sensazione di testa vuota; questa distinzione si è dimostrata avere una limitata utilità clinica. I capogiri, spesso, non sono delle vere e proprie vertigini nel senso più clinico del termine, ma una generica sensazione di instabilità non associata a fenomeni neurovegetativi (sudorazione, nausea, vomito). La vera vertigine può essere suddivisa in base alle caratteristiche del sintomo in: oggettiva, soggettiva e altre turbe dell’equilibrio non caratterizzate dal senso di rotazione. La forma oggettiva è rappresentata da una illusione di movimento dell’ambiente circostante rispetto al soggetto; si accompagna spesso a nausea, vomito, sudorazione, tachicardia, panico e ansia. La vertigine soggettiva è una condizione descritta come una illusione di movimento della testa o del corpo rispetto all’ambiente. Nel terzo gruppo possiamo inserire tutta una serie di sintomi molte volte, poco delineati: instabilità, disequilibrio, incertezza nel movimento, ecc.
Una vertigine episodica innescata dal movimento della testa può essere dovuta a vertigine posizionale parossistica. La vertigine con perdita dell'udito monolaterale può suggerire la malattia di Méniere. La vertigine episodica non associata ad alcun fenomeno che la inneschi, può essere un sintomo di neurite vestibolare. La valutazione si concentra sulla determinazione eziologica: periferica o centrale. Le eziologie periferiche sono generalmente benigne. Le eziologie centrali richiedono spesso un trattamento urgente. La raccolta anamnestica, la storia clinica, l’esame obiettivo e i test funzionali, tendono a differenziare le vertigini periferiche da quelle centrali. L'esame obiettivo comprende la misurazione della pressione arteriosa, l'esame neurologico completo, la valutazione del nistagmo (movimenti involontari degli occhi) e diversi test funzionali. Innanzitutto si studia il nistagmo spontaneo, per poi passare alla ricerca di eventuali nistagmi evocati da particolari posizioni o da manovre di posizionamento rapido (es. manovra di Dix-Hallpike). I test di laboratorio e l'imaging non sono inizialmente necessari ma, in alcuni casi, sono fondamentali nel perfezionare la diagnosi.
La vertigine parossistica posizionale (VPP) è la sindrome vertiginosa a più elevata prevalenza, costituendo da sola circa il 20% delle vertigini osservate in ambulatorio. La ricerca del nistagmo di posizionamento è l’elemento determinante per porre la diagnosi di VPP in fase attiva, individuare il/i canale/i interessato/i e determinare la strategia terapeutica. Nella ricerca del nistagmo di posizionamento, solitamente, per il canale posteriore e superiore si usano particolari manovre (Dix-Hallpike, Semont Herdmann; per il canale laterale: manovra di Pagnini-Mc Clure) atte a far assumere, al paziente, posizioni del corpo e della testa potenzialmente in grado di innescare la vertigine. Le vertigini posizionali parossistiche possono essere trattate con una procedura di riposizionamento otolitico (per es. manovra di Epley; manovra di Semont). Infatti, l’ipotesi patogenetica della canalolitiasi determina che è concettualmente possibile, applicando idonei movimenti o facendo assumere al paziente determinate posture, espellere gli otoliti dalla loro posizione anomala nel/nei canale/i semicircolare/i, determinando la risoluzione dei sintomi e dei segni. Tutte le manovre liberatorie hanno ottima efficacia clinica senza sostanziali differenze tra di esse nel contesto del tipo di canale trattato (posteriore o laterale). I tassi di risoluzione nel breve-medio termine sono compresi tra il 70 ed il 99% (Epley, Semont, Guidetti, Parnes, Califano, Vannucchi, Gufoni, Esher, Chiou ecc.). La VPP è una patologia tendente, di frequente, alla recidiva. La valutazione precisa della percentuale di recidive è difficile e, tendenzialmente, si può evidenziare ipsilateralmente nel 55% circa dei pazienti; controlateralmente nel 15% circa e bilateralmente nel 30% circa dei casi.
La malattia di Méniere si manifesta con crisi vertiginose periodiche, acufeni, fullness (sensazione di orecchio “chiuso”) e ipoacusia fluttuante nell’orecchio interessato. Generalmente la crisi vertiginosa è preceduta dalla sensazione di ovattamento auricolare, da un aumento dell’acufene e si manifesta con vertigine oggettiva, nausea e vomito. La durata della crisi è di alcune ore ma può essere molto variabile al pari della frequenza di manifestazione. Alla sintomatologia si aggiunge una componente psicosomatica e ansiogena. Questa patologia interessa lo 0,2% circa della popolazione e, sebbene possa svilupparsi a qualsiasi età, è più comune tra i 20 e i 60 anni. Solitamente interessa un solo orecchio ma può, negli anni, interessare anche il labirinto controlaterale. La causa della malattia è sconosciuta, ma è collegata a idrope endolinfatico con conseguente dilatazione del labirinto membranoso che scatena la crisi. La diagnosi di malattia di Méniere è clinica, fatta sulla base dell’anamnesi e dei dati ottenuti con l’esame audiometrico e otoneurologico. Altri esami quali la RM dell’encefalo servono a escludere altre patologie centrali. La terapia è essenzialmente medica: nell’attacco acuto si basa sull’utilizzo di farmaci sintomatici che sopprimono i sintomi dovuti all’attivazione del sistema neurovegetativo (nausea, vomito, malessere generale). La terapia generale si basa su una serie di norme di igiene alimentare (riduzione dell’assunzione di sale a meno di 1,5 gr/die, di alimenti che hanno il sale come elemento conservante e riducendo l’assunzione di caffeina e alcool) e sul trattamento farmacologico (farmaci istaminosimili, diuretici, calcioantagonisti ecc.). Qualora la terapia farmacologica non abbia alcuna efficacia è indicato l’approccio chirurgico.
La neurite vestibolare o neuronite vestibolare è determinata da un deficit acuto del nervo vestibolare di un lato che causa la comparsa di una sintomatologia vertiginosa improvvisa, sempre accompagnata da nausea, vomito, sudorazione fredda e tachicardia. L’asimmetria funzionale tra i due nervi vestibolari induce la comparsa di un nistagmo spontaneo che ruota orizzontalmente al lato non affetto o un'andatura anormale con una tendenza a cadere sul lato interessato. Con la compensazione vestibolare, la vertigine del paziente si risolve lentamente nell'arco di pochi giorni. Tuttavia, una sensazione di disequilibrio può persistere per mesi a causa della compromissione monolaterale della funzione vestibolare. L’eziologia è incerta, ma l’evento principale probabilmente è da ricondurre a fenomeni infiammatori sostenuti dall’azione di virus. La terapia si avvale dell’utilizzo di farmaci e riabilitazione vestibolare. I farmaci antiemetici e antinausea devono essere utilizzati per non più di tre giorni per i loro effetti nel bloccare la compensazione centrale. Vertigini, nausea o vomito associati possono essere trattati con una combinazione di antistaminici, antiemetici o benzodiazepine. Sebbene i corticosteroidi sistemici siano stati raccomandati come trattamento per la neurite vestibolare, non vi sono prove sufficienti per il loro uso di routine. I farmaci antivirali sono inefficaci. Non appena possibile, è necessario mobilizzare il paziente e procedere a un ciclo di riabilitazione vestibolare, perché i meccanismi di compenso centrale saranno tanto più rapidi quanto più precoce è la ripresa dei movimenti.
La vertigine episodica in un paziente con una storia di emicrania suggerisce l'emicrania vestibolare. L' emicrania vestibolare è una delle cause più comuni di vertigine episodica tra i bambini. Tra gli adulti, è tre volte più comune tra le donne e, frequentemente, si verifica tra i 20 e i 50 anni di età. Per i criteri diagnostici definiti dall’International Headache Society il paziente deve riferire almeno cinque crisi caratterizzate da sintomi vestibolari, di intensità moderata o severa, che durano da cinque minuti a settantadue ore e uno o più sintomi tipici dell’emicrania quali: mal di testa aggravato dal semplice movimento fisico, dolore pulsante, dolore unilaterale, fotofobia o fonofobia, aura visiva. La relazione temporale tra l’emicrania e le crisi di vertigine può essere estremamente variabile. La vertigine, infatti, può precedere l’attacco di emicrania e presentarsi come “aura”, può coincidere con il mal di testa, oppure seguirlo. Una forma molto frequente è l’emicrania basilare caratterizzata da episodi di violenta cefalea localizzata alla nuca associata a nausea, vomito e stanchezza. La terapia medica prevede l’utilizzo di farmaci anti-emicranici (soprattutto i calcio-antagonisti) a scopo profilattico, in associazione ai farmaci sintomatici durante la crisi (anti-infiammatori non steroidei, antiemetici e sedativi). L’approccio dietetico-nutrizionale e la regolarità del sonno possono contribuire a ridurre la frequenza e l’intensità delle crisi di emicrania vestibolare. Da evitare l’assunzione di alcol, di formaggi stagionati che contengono tiramina e il fumo. La prevenzione si concentra sull'identificazione ed elusione dei trigger per emicrania.
La vertigine di origine vascolare è legata ad un danno del sistema vestibolare periferico e/o centrale imputabile ad un deficit di irrorazione del microcircolo terminale labirintico. La caratteristica fondamentale della vertigine vascolare è quella di essere estremamente aspecifica nella sua modalità di comparsa, potendo presentarsi come disequilibrio, pulsione o vera sensazione di rotazione oggettiva, potendo essere favorita ed accentuata dal movimento (per esempio sollevandosi dal letto) e associandosi ad una vera VPP di cui potrebbe essere la concausa; si ipotizza infatti che un deficit cronico su base vascolare a carico del labirinto possa facilitare il distacco otolitico e la comparsa di una vera vertigine parossistica. La vertigine da insufficienza vertebro-basilare è caratterizzata da un esordio brusco e da una brusca risoluzione, con una durata abbastanza breve; si manifesta generalmente come una vertigine rotatoria ricorrente della durata di qualche minuto, in genere senza che residuino esiti neurologici, a meno che non vi sia un vero ictus labirintico o di qualche altra struttura. I pazienti con insufficienza vertebro-basilare non descrivono mai delle vertigini identiche ma con caratteristiche sempre diverse. Alla vertigine si associano frequentemente dei segni e sintomi neurologici come diplopia transitoria, dismetria, amaurosi, episodi tipo drop-attack, cefalea e astenia. L’anamnesi dei fattori di rischio, la valutazione dei segni e dei sintomi rappresentano gli elementi fondamentali della diagnosi, con il supporto indispensabile dell’esame eco-Doppler. In casi specifici, la diagnosi deve avvalersi di esami quali quelli otoneurologici strumentali, i markers ematologici, gli accertamenti cardiovascolari, l’imaging (TC e RM), insieme alle consulenze neurologiche e oftalmologiche. La terapia medica si avvale dell’uso di farmaci anti-aggreganti oltre al trattamento e all’eliminazione dei fattori di rischio. In caso di disequilibrio permanente è buona norma associare una rieducazione vestibolare.
A causare vertigini episodiche o sensazioni di instabilità concorrono altre patologie a origine neoplastica o degenerativa (Meningiomi, Schwannomi, Ependimomi, Gliomi, Medulloblastomi, Neurofibromatosi ecc.). Patologie psichiatriche (ansia, depressione, disturbo bipolare) possono determinare fenomeni inizialmente episodici, poi trasformarsi in continui capogiri senza altra causa. Le vertigini e/o i capogiri farmaco-indotti, senza altra causa, rappresentano il 23% circa dei casi di capogiri negli anziani. L'uso di cinque o più farmaci è associato ad un aumentato rischio di capogiri e a conseguente caduta. I pazienti più anziani sono particolarmente suscettibili agli effetti avversi del farmaco a causa di cambiamenti farmacocinetici e farmacodinamici legati all'età. Alcool, antiaritmici, antiepilettici, antistaminici (sedativi), antipertensivi, antiparkinsoniani, narcotici, nitrati, miorilassanti, anticolinergici urinari, benzodiazepine sono tra i farmaci a più alto potere di instabilità o vertiginoso.
La riabilitazione vestibolare è una metodica che permette di risolvere o di attenuare i problemi di disequilibrio cronico. Tali disturbi possono essere la conseguenza di patologie vestibolari di origine periferica e centrale. I cicli di riabilitazione vestibolare consistono in sedute di esercizi che sono volti a mettere in condizioni il cervello di utilizzare gli altri sistemi sensoriali (vista e sistema propriocettivo) al posto del sistema vestibolare malfunzionante. Tale nuova strategia posturale solitamente garantisce al paziente il recupero di un soddisfacente equilibrio. Le tecniche riabilitative possono essere distinte in tecniche specifiche per il controllo posturale sia statico che dinamico e in tecniche mirate alla rieducazione del controllo oculomotorio.

Commenti

  1. Grazie alla professionalità all'umanità e alla "complicità "del dr. De Caria ho fatto notevoli progressi nella gestione della malattia di Meniere e degli stati
    d'ansia da questa provocata; riesco a viaggiare in treno da sola e quotidianamente faccio tutti gli esercizi assegnatimi.insomma,sono rinata, più fiduciosa e più autonoma. Grazie mille dr.De Caria






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