TRATTAMENTO DEGLI ACUFENI:Tinnitus Retraining Therapy (TRT)
Considerazioni
e innovazioni nel trattamento degli acufeni mediante tecniche di rilassamento
profondo e “sound generators”.
S.
Colombo, A.R. De Caria.
Rivista Medica Italiana di
Psicoterapia e Ipnosi; 2003: vol. 1, pag. 105 - 128
Remarks
and innovations in the treatment of tinnitus with tecniques of deep relaxation
and sound generators
Introduzione
La Psicologia, nel tempo, ha affinato tecniche atte
a controllare le reazioni fisiologiche e psicologiche attivate dallo stress.
Ancora una volta può essere necessario definire il significato di questo
termine, altrimenti abusato, rendendo così possibile intendere le ragioni di
questo lavoro.
H.Selye ha utilizzato il termine stress per indicare
una reazione aspecifica dell’organismo ad ogni sollecitazione effettuata su di
esso. Da questo punto di vista, entro certi limiti, lo stress risulta essere
una risposta fisiologica multifattoriale dell’organismo per adattarsi ad uno
stimolo.
In un secondo tempo, R.Lazarus ha formulato il
concetto di stress psicologico per identificare uno stato di iper-reattività
conseguente ad una stimolazione divenuta parossistica per l’entità
psicosomatica della persona. Questa condizione negativa sarebbe il risultato di
una valutazione cognitiva che attribuisce agli stimoli valenze di eccesso e
nocività.
Per l’individuo,dunque, è la qualità soggettiva
dello stimolo a determinare la qualità della risposta emozionale e il pattern
biologico e umorale da attivare.
La qualità della vita della persona e il suo vissuto
divengono le condizioni determinanti il possibile punto di rottura di un
equilibrio che mantiene lo stato di salute.
Le discipline terapeutiche ad approccio psicosomatico
intendono studiare le possibili relazioni tra personalità, condotta di vita e
patologia; suggeriscono quindi soluzioni di tipo olistico atte alla
comprensione dei fenomeni e alla loro risoluzione.
Alla luce di questa visione terapeutica dobbiamo
allora pensare che lo stress, entro certe misure, è per l’individuo una fonte
di stimolo positivo atta a muoverlo e motivarlo, diviene negativo se non è
scandito dal riposo o non è motivato da uno stato psicologico adeguato.
Prendere in cura un paziente vuole dire, allora,
valutare il suo stato cognitivo e la sua condizione clinica e suggerire
strategie per affrontare il suo disagio in modo attivo e consapevole.
Il contenimento degli effetti della malattia è
infatti direttamente conseguente alla qualità della partecipazione alla cura.
Il paziente, se non è sostenuto psicologicamente, di fronte al problema fisico
o psichico che lo affligge, tende ad abreagire. Le caratteristiche alternanze
tra umore ansioso e depresso sono così i più frequenti elementi di ridondanza e
cronicizzazione.
Il terapeuta che si confronta con una patologia che
tende a ricorrere o mantenersi, deve sapere che dietro queste manifestazioni si
possono celare modalità simboliche o non verbali che affondano le loro radici
entro serbatoi energetici affettivi.
Peraltro è nel corpo che noi viviamo attivamente il
nostro vissuto, il percepito. Noi siamo il corpo, nel suo più alto e lato
significato, con esso ci identifichiamo in un modo trasversale che lega
l’immanente col trascendente.
Un programma riabilitativo, di qualunque ordine sia,
non può prescindere quindi da una educazione ad una corretta valutazione
cognitiva del vissuto fisico di Sé, alla propriocezione dell’interagire tra
psiche e soma.
Il quadro sintomatologico della persona che è
sottoposta a un eccessivo carico stressorio è caratterizzato da reazioni
fisiologiche fondamentali che attivano a catena una serie di eventi
potenzialmente nocivi.
Gli effetti più immediati riguardano alterazioni del
ritmo cardiorespiratorio e del tono muscolare : la dispnea e la distonia
muscolare protratte, in breve affliggono circolazione, postura, peristalsi.
Spesso questi schemi reattivi sono identificabili
con modelli fisiologici propri del patrimonio filogenetico che
inconsapevolmente vengono attivati.
Ne sono esempio lo “start reflex”e il riflesso di
caduta,con il suo peculiare schema posturale (contrazione dei flessori,
inibizione degli estensori) e i riflessi neurofisiologici allo stimolo rumoroso
(fenomeni di allerta e disorientamento).
Si potrebbe quasi attribuire a questi patterns
biologici il modello fisiologico primitivo di attivazione dello stato
psico-fisico dell’ansia, reiterabile in ogni momento in cui l’individuo sente
di perdere il controllo degli eventi.
La riabilitazione deve intervenire nell’identificazione
dei fattori stressogeni e inibire i riflessi reattivi a essi : l’approccio cognitivo permette di focalizzare
gli elementi consci e inconsci che condizionano il vissuto soggettivo e
rimodellare la soglia di tolleranza a uno stimolo, inducendo una risposta più
appropriata.
Diverse sono le possibili tecniche e devono essere
applicate in modo adeguato e proporzionale al grado di suscettibilità e
comprensione del paziente. Queste tecniche possono essere etero- indotte da un
terapeuta o auto-indotte, denominatore comune è la loro possibilità di creare
una modificazione dello stato abituale della coscienza di veglia al fine di
avvicinare la realtà da un diverso punto di vista.
L’approccio psicocorporeo mira a ricondizionare la
cenestesi attraverso il rilassamento e indurre la meta-osservazione dello
psichismo e della emotività.
In questo senso va riconsiderato il termine “trance”
finora riservato a profonde modificazioni della coscienza e del comportamento,
studiate dalla psichiatria (isteria,epilessia) e dall’etnologia.
In ambito psicologico vediamo infatti stati di
trance meno imponenti ma non per questo meno significativi : pratiche di
rilassamento profondo o di meditazione inducono comunque modificazioni
neuro-fisiologiche (frequenza cardiorespiratoria, tracciati EEG) senza che il
soggetto perda coscienza dell’esperienza.
La tecnica più studiata è il Training Autogeno di
Schultz (TA), sviluppato negli anni ‘30, è utilizzato per l’autodistensione
psichica e somatica, il riequilibrio funzionale e l’induzione di dinamismi
psicologici positivi.
Secondo Freud il T.A. è in grado di superare il”
muro della biologia”, cogliendo, direttamente in atto, le correlazioni
fondamentali tra psiche e soma.
Il T.A. consiste di sei esercizi fondamentali di
livello inferiore volti a modificare il tono muscolare, l’attività cardiaca e
respiratoria e la funzionalità vascolare; in questa paradossale condizione di
assoluta passività fisica si creano i presupposti per una più attenta
percezione dei processi psichici e dell’affiorare dei contenuti dell’inconscio.
L’ascolto e la comprensione del “dialogo interiore” che così si crea permette
il superamento di conflitti che hanno perso, nel rilassamento, la loro possibilità di indurre una reattività
biologica percepita dal soggetto come minacciosa.
Il T.A. nei suoi gradi superiori, è utilizzato, con
particolari temi o suggestioni, in ambito psicoterapico per favorire una
contemporanea o successiva verbalizzazione di immagini interiori altrimenti non
percepibili nella normale coscienza di veglia.
Per il paziente di tipo estroverso, può essere
difficile padroneggiare una tecnica che fin dai primi approcci lo pone in una
condizione insolita di passività e interiorizzazione. Per potere portare questo
tipo di paziente verso uno stato di quiete può essere necessario dapprima
ricorrere a altre tecniche che meglio assolvono a un impellente e ansioso
bisogno di “fare”.
Tra queste vi è il rilassamento di Jakobson, un
metodo che consiste nel fare contrarre segmenti e gruppi muscolari per poi
rilassarli progressivamente in un tempo variabile.
Questi esercizi risultano validi in soggetti
scarsamente consapevoli della loro fisicità e della loro risposta tonica. Sono
persone che percepiscono confusamente il loro stato di malattia e disconoscono
la concomitanza tra sintomi psichici e fisici. Percepire una differente qualità
tra lo sforzo e la sua cessazione determina la scoperta della possibilità di
uno stato di benessere, che favorisce un successivo “insight”.
A supporto delle tecniche di rilassamento, per
offrire al paziente la possibilità di una valutazione oggettiva del risultato
ottenuto, sono state affiancati degli strumenti di misurazione elettronica dei
diversi parametri fisiologici coinvolti nel processo.
EMG, ECG, termometri, galvanometri muniti di display
luminosi e segnali sonori sono i “monitors” che nel corso di sedute con
Bio-feedback (BFB) rinviano al paziente in fase di rilassamento le informazioni
sulla corretta applicazione della procedura.
Il BFB indubbiamente fornisce una obiettività
scientifica dei risultati, quantificando e motivando un loro perfezionamento.
Il soggetto si sente rassicurato nelle sue sensazioni, in quanto informato dal
segnale di rinvio di una macchina che, “in qualche modo”, le rende reali.
Nell’applicare questa tecnica, non si deve indurre
il paziente ad una condizione di competività con l’apparecchio e non si deve
deviare la sua attenzione dal vissuto
soggettivo, per confondersi con i terminali elettronici esterni a lui. Il
primato dell’esperienza del soggetto rispetto ai “valori”scientifici deve
sempre essere sottolineato.
Avvalersi del BFB diventa raccomandato nel trattare
soggetti estremamente insicuri della loro percezione somatica. Una “emotività”
corporea non ben integrata, spesso è ansiogena e viene stemperata dalla
macchina che testimonia la realtà e l’intensità del vissuto interiore.
Una avvertenza per il terapeuta è quella di non
essere assorbito dal funzionamento della “sua” macchina e frapporre nel
rapporto con il paziente uno strumento che rende “virtuale” la relazione
terapeutica.
Alcune pratiche del mondo orientale, volte a
modificare gli stati della coscienza e della fisiologia possono essere
considerate le madri delle tecniche che abbiamo visto operare in ambito
scientifico.Questo perché, dal punto di vista filosofico, la “Sofia” precede
sempre la “Techne”.Quest’ultima è in grado di cristallizzare in meccanismi
oggettivi quelli che sono i grandi temi spirituali che animano il pensiero dell’umanità. Equilibrati
valori etici e morali sembrano essere, non necessariamente da un punto di vista
confessionale, il fondamento per la salute psichica e la realizzazione
dell’uomo.
Discipline nate nel bacino Indo-gangetico e diffuse
poi verso la Cina e il Giappone hanno strutturato un vastissimo corpus filosofico
che ha le basi nella conoscenza di una pragmatica psicofisiologia applicata.
Controllo del tono muscolare, della postura, della respirazione, della
visceralità, sono i primi “steps” dell’adepto orientale (Hatha Yoga, Qi Qong,
Za Zen ).
Sfrondati dalle strutture religiose e folkloriche
che le ospitano, queste pratiche “psicosomatiche” hanno mantenuto la loro
uniformità all’interno di una area culturale vastissima e millenaria.
Queste sono finalizzate al raggiungimento di stati
meditativi che hanno lo scopo di realizzare l’armonizzazione dell’individuo nei
suoi rapporti interiori e esteriori. La sostanziale assenza di dogmi permette
l’avvicinarsi a questo diverso approccio filosofico anche al mondo culturale
occidentale, se questi non pretende un primato di tipo scientifico.
Lo stato meditativo (Sanscrito:Dhiana, Cinese:Djann,
Giapponese:Zen) propone una mente calma.
Tale condizione è possibile quando il soggetto
stabilisce un determinato e raccolto punto di osservazione, o meta-ossevazione,
dello scorrere di pensieri e emozioni senza che vi sia una completa
identificazione con essi. La concentrazione necessaria perché la mente sia in
uno stato di coerenza, non distratta da pensieri o fantasie, viene raggiunta
fissando un oggetto di attenzione legato a qualche fenomeno corporeo oggettivo
(movimenti respiratori diaframmatici, verticalità del rachide ecc.), e
ritornando a esso tutte le volte che si
percepisce la distrazione. L’applicazione costante a questa pratica educa
la capacità percettiva a discriminare finemente tutte le altre sensazioni o
emozioni che compaiono nel campo di attenzione che si è creato. Questo
decondizionamento dall’uso passivo dei sensi e dal costante divagare dei
processi mentali ,“centra” l’individuo nell’osservazione dei fenomeni collocati,
spazialmente e temporalmente, nel “qui e ora”, svincolandoli da attribuzioni e
condizionamenti legati a ricordi del passato e ansie per il futuro.
Per gli Orientali questa possibilità nasce dal
principio di esistenza di un nucleo cosciente che trascende i processi mentali
e la corporeità, un definito Sé che ci abita come causa e non effetto del
nostro essere. L’atarassia, fortemente voluta, conseguente alla pratica
meditativa, lascia affiorare questo nucleo del Sé. Tale processo relativizza il
nostro Ego, con i suoi desideri e avversioni, fonte di tanto turbamento e
sofferenza.
Il percorso meditativo richiede dedizione e forti
motivazioni, maturate nel riconoscimento di una nostra umana fallibilità. Fine
ultimo è infatti la trascendenza e la comprensione dell’esistenza come fenomeno
spirituale.
L’applicazione di questi principi alla corrente
“forma mentis” occidentale può risultare difficile, anche se questi sono ormai
culturalmente riconosciuti e diffusi.
Tali pratiche possono essere oggetto di speculazione
e utilizzo, in ambito terapeutico, quando diventa necessario comprendere
nell’immediato le conseguenze di un errato atteggiamento psicologico
nell’apparire o aggravarsi di una patologia somatica. La meditazione si può
così considerare alla stregua di esercizi superiori del TA, in grado di
superare l’aspetto suggestivo e intervenire nella trasformazione psicologica
dell’individuo all’interno di un percorso autoconoscitivo.
Diverse sono quindi le vie di mediazione corporea
che permettono un accesso allo psichismo. Il loro merito è di coinvolgere in
modo fattivo il paziente. L’oggettività dell’esperienza somatica non può essere
negata neanche dal soggetto più difeso o lontano da psicologismi.
L’immediatezza della relazione psiche-soma, che queste vie permettono di
sperimentare, apre possibilità al dialogo terapeutico in modo non
intellettualizzato.
Condurre alla consapevolezza dei fenomeni corporei,
intesi come un insieme entro il quale noi percepiamo il nostro “essere”, riduce
la componente emotiva che alimenta le sensazioni del disagio o del dolore.
L’applicazione di queste tecniche in medicina è possibile quando si vuole ridurre la
componente di stress psicologico che la malattia condiziona, o da cui
addirittura deriva.
La possibilità di controllare delle risposte toniche
o viscerali attivate dal dolore, e determinarne così una riduzione, è uno
strumento potente per il malato.
Gli usi sono molteplici nelle patologie croniche,
che il paziente riconosce come “sue”, e che da queste è psicologicamente condizionato.
Sappiamo come i malati prevedono e temono l’avvicinarsi di una crisi e come
attivano strategie difensive spesso penalizzanti la loro libertà. L’asmatico
che si chiude in casa, il colitico che si impone diete nevrotiche, il
cefalalgico rifugiato nel letto e uno smodato uso di “farmaci” sono risposte di iper-compensazione
alla minaccia del disagio.
Sapere di avere costantemente a disposizione uno
strumento terapeutico che permette di rilassarsi e osservare i singoli elementi
che compongono la “sindrome” patologica è, di per sé, ansiolitico; la
parcellizzazione dei sintomi, infatti, ne riduce l’imponenza.
Lo spazio protetto che si crea all’interno
dell’esercizio di rilassamento, è anche un momento di ristrutturazione
cognitiva che permette di considerare le condizioni prodromiche alla crisi e
rilevare gli errori comportamentali che hanno portato al manifestarsi della
stessa.
La pratica costante del rilassamento terapeutico
diviene un atto significativo nella cura di sé e struttura nel tempo un
positivo spunto di apprendimento ad agire grazie al saper “non agire”.
Sul piano clinico, al di là della patologia della
funzione uditiva a livello delle strutture auricolari della ricezione acustica
o della otologia più classicamente intesa, nel contesto delle integrazioni
delle afferenze acustiche con altri sistemi e con le capacità di elaborazione
superiore, l’acufene invalidante rappresenta una reazione specifica/aspecifica
dell’organismo ad una sollecitazione, non bloccata a livello inconscio e che
prende il sopravvento per l’assenza di processi inibitori a livello
subcorticale e corticale.
Tutto
ciò indica una nuova angolatura dal punto di vista interpretativo funzionale
che, superando la staticità del semplice riscontro anatomico, pone l’accento
non più su singoli centri o nuclei responsabili di una specifica attività, ma
si articola nel concetto di una molteplicità di circuiti funzionali e di
aspetti comportamentali specializzati.
Acufeni
Il termine
tinnitus o acufene sta ad indicare qualsiasi sensazione acustica percepita
nelle orecchie o all'interno della testa, senza uno stimolo esterno evidente.
L’acufene
si può avvertire sotto forma di ronzio, tintinnio, scroscio, fischio o sibilo
oppure può presentarsi come un suono più complesso che varia nel tempo.
Il tinnitus è
un sintomo, in alcuni casi estremamente invalidante, di disordini del sistema
uditivo e può essere associato ad un’ampia varietà di altre condizioni
patologiche.
Il
tinnitus è espressione di un malfunzionamento dell’elaborazione centrale dei
segnali uditivi che coinvolge sia componenti percettive che psicologiche e può
essere differenziato dalle allucinazioni uditive vere e proprie, che vengono
generalmente considerate un sintomo di patologie psichiatriche o neurologiche.
Incidenza
I dati esistenti in letteratura si presentano molto
contrastanti con valori compresi tra il
6 e il 30%; tale variabilità dipende da numerosi fattori, in primo luogo
dalla metodica adottata nel rilevamento dei dati, dalla distribuzione dell’età
e dalla contemporanea presenza o meno di patologie a carico del sistema
uditivo.
Il British National Study of Hearing ha valutato che
circa il 10% degli individui adulti avverte un tinnitus spontaneo prolungato,
vale a dire che dura più di cinque minuti; nell’1% è causa di notevoli disturbi
e lo 0,5% degli adulti non è in grado di svolgere una vita normale a causa
degli acufeni.
In Italia le stime si avvicinano notevolmente a
quelle dei paesi anglosassoni (il 10 – 14% della popolazione soffre di
acufeni).
Generalmente gli acufeni sono abbastanza frequenti
in pazienti normoacusici (3 – 9%) e aumentano progressivamente con l’età e ciò
è in rapporto non tanto alla senescenza in sé quanto alla frequente perdita
uditiva.
Eziologia
Il
tinnitus è un sintomo presente in diverse patologie e può avere come sede
d’origine qualsiasi punto delle vie acustiche; in ogni caso l’insorgenza di un
tinnitus persistente e fastidioso è considerata avere componenti psicologiche.
Il
sintomo può essere associato a qualsiasi tipo di ipoacusia neurosensoriale; i
deficit uditivi sono la causa determinante tinnitus nel maggior numero di casi,
seguiti dall’età e dall’esposizione al rumore.
L’ipoacusia
di tipo trasmissivo può essere associata a tinnitus dopo chirurgia
dell’orecchio medio e miringoplastica, nell’otite media cronica suppurativa e
nell’otosclerosi.
Tinnitus
di breve durata può essere causato anche da un tappo di cerume, da una
otosalpingite catarrale o da un’otite media.
Intossicazione
da alcool, monossido di carbonio, metalli pesanti, farmaci (salicilati, chinino
e suoi analoghi sintetici, antibiotici aminoglicosidici, alcuni diuretici,
quali la furosemide e l’acido etacrinico) possono colpire l’orecchio interno
sia nella sua porzione uditiva che in quella vestibolare, determinando acufeni.
Altre
cause possono essere di tipo vascolare o muscolare. In rari casi l’insorgenza
di un tinnitus persistente monolaterale può essere il sintomo di esordio di un
neurinoma dell’acustico.
Uno studio effettuato in Svezia mostra che il 9%
degli individui normoacusici soffre di tinnitus “sempre” e il British National
Study indica che il 7% degli adulti accusa tinnitus pur non avendo deficit
uditivi.
Questi dati enfatizzano il ruolo del cervello come
sede primaria di percezione degli acufeni.
In un articolo pubblicato su Hearing Research, gli acufeni
sono sempre associati a un aumento di attività di aree corticali specifiche.
Per il mappaggio di questa attività centrale tinnitus-specifica è stata
utilizzata la tomografia ad emissione di positroni, che permette di ottenere
immagini della diversa distribuzione del flusso sanguigno a livello corticale
durante l’abituale sensazione di tinnitus e dopo soppressione di questo,
discriminando così le aree con attività diversificata nelle due condizioni. Con
tale metodica, si è riusciti ad identificare i centri corticali del tinnitus
nei giri medio frontale e medio temporale e in aree posteriori mediali e
laterali, con netta predominanza dell’emisfero di destra; tutte queste sono
zone corticali che attendono alla memoria, alle emozioni e all’attenzione
Terapia
Il
problema degli acufeni è a tutt’oggi ancora aperto e insoluto per quanto
riguarda la terapia. Una pietra miliare nel trattamento degli acufeni è stata
la scoperta della necessità di individualizzare la cura secondo le diverse
esigenze di ogni singolo paziente.
In
alcuni casi il trattamento diretto verso una eventuale malattia soggiacente
comporta una diminuzione o scomparsa dell’acufene, il problema insorge quando
l’acufene è presente in pazienti con assenza di patologia a livello
dell’apparato uditivo e con assenza di malattie organiche.
La capacità del paziente di tollerare gli acufeni è
variabile. I pazienti che giungono all’osservazione clinica sono quelli che non
sono stati capaci di abituarsi al tinnitus. Si stima che circa l’80% degli
individui che si rivolgono al medico per “ronzii auricolari” traggano
giovamento semplicemente dall’esame clinico e dalle rassicurazioni sulla
benignità del sintomo. Per quelli invece che necessitano di ulteriori cure, gli
approcci terapeutici variano secondo le diverse Scuole e i diversi Paesi, ma
sono solitamente multidisciplinari.
Non esistono terapie univoche nel senso comune del
termine, vale a dire non esistono farmaci di provata efficacia nell’attenuare o
nell’abolire gli acufeni in un numero significativo di casi.
Un
recente modello neurofisiologico offre una spiegazione del tinnitus con
importanti implicazioni sia a livello diagnostico che terapeutico.
Basandosi
sul principio della plasticità neuronale, questo nuovo metodo sostiene che il
cervello è potenzialmente capace di imparare nuovi percorsi in grado di
attenuare l’impatto negativo degli acufeni. Il trattamento si basa
fondamentalmente su un’opera di rieducazione (retraining) allo scopo di
rimuovere le reazioni emozionali ed eventualmente anche la percezione del
tinnitus stesso.
T. R. T. (Tinnitus Retraining Therapy)
La TRT è un metodo utilizzato per il trattamento
degli acufeni. Questo metodo associa l’utilizzo di un generatore di suono a
larga banda a una terapia riabilitativa
(counselling) e richiede la collaborazione di uno specialista
otorinolaringoiatra o audiologo, di un audioprotesista e di uno psicologo.
Tutti i pazienti che soffrono di tinnitus possono essere
sottoposti alla TRT indipendentemente dall’eziologia degli acufeni (trauma da
rumore, interventi chirurgici, cause psichiatriche, patologie di competenza
internistica, ecc.).
La TRT si è dimostrata particolarmente efficace
anche nel trattamento dell’iperacusia, intesa come incrementata sensibilità ai
suoni, che nel 40% dei casi è associata al tinnitus.
Bisogna comunque sottolineare che loudness e picco
del tinnitus non si modificano durante il trattamento; dal punto di vista
psicoacustico non vi è alcun cambiamento delle caratteristiche degli acufeni
prima e dopo TRT; ciò che viene modificato è la reazione negativa associata
alla percezione dell’acufene.
La T.R.T.:
l’abitudine
Questo
trattamento ha l’obiettivo di decondizionare il paziente che soffre di acufeni
attenuandone il grado di consapevolezza e dominando i fattori emozionali,
responsabili della persistenza dell’acufene stesso.
Scopo
di questa procedura non è la soppressione dell’acufene, i cui meccanismi chemio
ed elettrogenetici sono ancora sconosciuti, bensì il “ricondizionamento” della
sua percezione al fine di mitigare le sequele psico-affettive e neurovegetative
che ne caratterizzano la dimensione invalidante.
Una
parte importante del programma è rappresentata dalla “sound therapy” ovvero
l’innalzamento del livello di rumorosità ambientale, attraverso l’utilizzo di
un generatore di suono, per ridurre il rapporto segnale/rumore dell’acufene e
facilitare così la desensibilizzazione.
Il
suono erogato non deve mascherare l’acufene, poiché il paziente non può
abituarsi a qualcosa che non sente, ma creare un diversivo, allo scopo di
migliorare la tolleranza e ripristinare la funzione di “filtro” operata a
livello cerebrale.
La TRT rappresenta pertanto una procedura
riabilitativa mirata a rieducare l’area uditiva del cervello.
Terapia di
sostegno (Counselling)
E’ una parte essenziale della terapia di
assuefazione al tinnitus; è sempre una terapia individuale, mai di gruppo.
Obiettivo del counselling è riabilitare il centro
cerebrale responsabile della percezione del disturbo conseguente al tinnitus e
riabilitare le vie neuronali uditive in modo da filtrare e bloccare il
passaggio del segnale legato al tinnitus stesso.
Il percorso del counselling conoscitivo si svolge in
tre fasi:
1.
spiegazione del problema (al paziente vengono fornite con parole
semplici informazioni scientifiche
sull’acufene);
2.
incremento della capacità decisionale del paziente;
3. stimoli a creare modalità
personali per affrontare situazioni di crisi determinate dagli acufeni.
Durante le sedute terapeutiche, viene spiegata al
paziente la neurofisiologia degli acufeni con parole semplici e comprensibili,
incoraggiandolo a fare domande e a instaurare delle discussioni con il
terapeuta. Vengono forniti al paziente immagini ed esempi di vita quotidiana,
aiutandolo a comprendere come il livello di attenzione possa essere alterato e
modificato in base al diverso significato simbolico che ogni singolo individuo
dà alle immagini stesse.
Una terapia di sostegno appropriata è fondamentale
per iniziare e portare avanti il processo di abitudine agli acufeni.
Il
counselling comporta frequentemente adeguamenti del programma, in base al
cambiamento della soglia di percezione dell’acufene e in base agli inevitabili
mutamenti soggettivi presentati. Questi cambiamenti orientati a: frustrazione,
ansia, impazienza, temporanei insuccessi, sono i fattori che più frequentemente
diventano causa di rinuncia al trattamento prima ancora che si verifichi un
successo anche parziale.
Nella
maggior parte dei pazienti, al counselling si associa la terapia del suono
(attraverso l’applicazione di un generatore di rumore) che ha lo scopo di
diminuire il contrasto tra tinnitus e attività neurale di fondo, così facendo
interferisce con la capacità cerebrale di percepire il tinnitus.
“Sound Therapy”
La terapia del suono ha lo scopo di aumentare la
quantità di suoni a cui il paziente è esposto al fine di favorire l’abitudine e
sviluppare il processo di desensibilizzazione. Imperativo fondamentale di
questo trattamento è: “evitare il silenzio”.
I generatori utilizzati permettono un controllo
facile e preciso della quantità e del tempo di erogazione sonora a cui il
paziente è esposto, assicurando un range di frequenza relativamente ampio e
stabile. La stabilità della soglia sonora è particolarmente importante in quei
pazienti che lamentano iperacusia nei quali va attentamente controllata la
quantità di suono somministrata.
Se non è presente iperacusia, il livello sonoro
ottimale da somministrare al paziente corrisponde al “mixing point” (intensità
sonora in cui il paziente percepisce come uniti ma distinti il suono erogato e
l’acufene) o subito sotto di esso. L’efficacia del trattamento diminuisce
rapidamente quando l’intensità sonora oltrepassa il “mixing point”, e si riduce
a zero quando si attua il mascheramento dell’acufene, in quanto è impossibile
ricondizionare uno stimolo che non viene percepito.
Oltre
ai generatori indossabili, esistono in commercio diversi dispositivi di
arricchimento sonoro che vengono usati dai pazienti con acufeni nei momenti in
cui non possono o non vogliono usare i generatori auricolari. Tali dispositivi
danno al paziente la possibilità di scegliere differenti situazioni sonore
(pioggia, rumori della foresta, temporale, cinguettio di uccelli, cascata ecc.)
e sono utilizzati soprattutto per favorire il relax o il riposo notturno. I
suoni erogati da questi dispositivi sono estremamente rilassanti e l’ascolto è
finalizzato alla riduzione della risposta emotiva alla percezione dell’acufene,
essendone accertato l’aggravamento in condizioni di stress psico-fisico.
A
questi si aggiunge il “cuscino sonoro” all’interno del quale sono incorporati
due piccoli altoparlanti con spinotto per la connessione ad una sorgente sonora
(walkman o lettore cd) con scelta musicale a discrezione del paziente.
La
“sound therapy” dà un aiuto significativo al processo di abitudine diminuendo
l’impatto dell’acufene e l’attività neurale correlata con il sistema uditivo e
dal sistema uditivo ai sistemi limbico e autonomico. Conseguentemente la forza
del tinnitus e le attività correlate diminuiscono rendendo l’abitudine
all’acufene più facile.
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