CALO DELL'UDITO E DECADIMENTO COGNITIVO
CALO DELL'UDITO E DECADIMENTO COGNITIVO
Antonio De Caria - Studio Medico Auris - Mantova
Abstract
Anche se il calo uditivo (ipoacusia) può riscontrarsi in
qualsiasi momento della vita, la sua prevalenza aumenta considerevolmente con
l’età. Varie ricerche hanno dimostrato che le persone affette da ipoacusia sono
maggiormente predisposte a sviluppare disturbi cognitivi.
Una recente ricerca effettuata negli Stati Uniti da
Lin e colleghi ha evidenziato come il numero di persone affette da calo uditivo
di grado lieve o superiore aumenta con l’età. Un altro grave problema di salute
direttamente legato all’età è rappresentato dai deficit cognitivi che, a
partire dai 70 anni di età, si accresce dell’1% all’anno. Poiché esiste un
legame significativo fra ipoacusia e deficit cognitivi è, conseguentemente, evidente quanto forte sia la necessità di
intraprendere azioni affinché possa essere scongiurato un incremento ulteriore
delle stime che riguardano le persone che saranno interessate in modo più o
meno grave da disturbi cognitivi. La relazione tra ipoacusia e deficit
cognitivi in popolazioni adulte/anziane è stata oggetto di varie ricerche
cliniche. Questi studi hanno dimostrato che le persone affette da ipoacusia, confrontate
con soggetti coetanei non affetti da ipoacusia, sono significativamente più predisposti
a sviluppare tali deficit. In una delle prime
ricerche pubblicate nel 1989, si è arrivati alla conclusione che l’ipoacusia,
nei soggetti anziani, rappresenta un fattore in grado di contribuire alla compromissione
delle facoltà cognitive, secondo una relazione di proporzionalità diretta: maggiore
il livello d’ipoacusia, maggiori le
possibilità di sviluppare deficit. Ne consegue che, qualsiasi correzione
dell’ipoacusia non solo sarebbe in grado di “prevenire” la progressione della
demenza ma potrebbe potenzialmente attenuare i sintomi della malattia. Questo
renderebbe la correzione uditiva un’opportunità promettente per il trattamento
dei disturbi cognitivi nelle persone anziane. Frank Lin, insieme a suoi
collaboratori ha effettuato una ricerca seguendo 639 soggetti per 18 anni. All’inizio
dello studio in nessuno dei soggetti fu riscontrato un danno cognitivo, anche
se alcuni di essi erano affetti da ipoacusia. Durante i 18 anni di follow-up
sono stati diagnosticati 58 casi di deficit cognitivi più o meno gravi.
Effettuando una comparazione con individui normoudenti, quelli affetti da
ipoacusia lieve, media e grave, avevano rispettivamente 2, 3 e 5 volte un rischio più alto di sviluppare deficit cognitivi. Le ricerche del gruppo di lavoro di Lin hanno trovato
conferma in altri studi (Gallacher et Al.,
2012). Anche se la causa che lega le due condizioni resta sconosciuta, i
ricercatori suggeriscono l’ipotesi che gli sforzi necessari all’elaborazione dei
suoni durante l’arco di vita potrebbero sovraccaricare il cervello delle
persone affette da ipoacusia, rendendole maggiormente esposte all’insorgenza di
problematiche cognitive. Un’altra possibilità avanzata dai ricercatori è che l’ipoacusia
generi isolamento sociale, fattore di rischio elevato e peraltro conclamato sia
per i disturbi cognitivi, sia per fenomeni depressivi. I risultati delle
ricerche (Mulrow, Lehrlad, Acar, Choi) suggeriscono che l’adozione di rimedi
semplici, come ad esempio l’uso degli apparecchi acustici e una maggiore
attenzione verso la prevenzione e l’identificazione precoce della sordità, possono
determinare un miglioramento complessivo delle funzioni cognitive e,
conseguentemente, ritardare l’insorgenza della demenza
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